Nuove verità sulla pizza napoletana

Sulla pizza Margherita si racconta sempre la stessa storia:
Nel 1889, Re Umberto I di Savoia e la sua consorte Margherita soggiornarono nella Reggia di Capodimonte a Napoli. Per soddisfare un’improvvisa voglia di pizza della regina, venne convocato a Palazzo il più famoso pizzaiolo dell’epoca, Raffaele Esposito, che aveva rilevato la celebre pizzeria, sita in salita Sant’Anna di Palazzo, “Pietro … e basta così” di Pietro Colicchio. Esposito preparò tre tipi di pizza: la classica “mastunicola”, con strutto, formaggio e basilico; “cu ‘e cecenielle” , con del novellame, appunto, ed una condita con mozzarella e pomodoro a cui aggiunse, sul momento, un suo personalissimo tocco: una foglia di basilico, per omaggiare i tre colori della bandiera italiana. Questa pizza piacque così tanto alla regina che il pizzaiolo volle dedicargliela chiamandola, appunto, “Margherita”. Nome a parte, studiosi e meridionalisti attuali (questi ultimi anche forse per il fatto che uno dei più importanti simboli della napoletanità  sia stato associato all’Unità d’Italia, al tricolore ed ai Savoia) hanno cercato di confutare questa storia. Hanno quindi ricercato la prova dell’esistenza di quel tipo di pizza in una data antecedente a quell’episodio, ma purtroppo senza esiti positivi. Gli unici indizi più concreti sono stati trovati in una guida dell’ epoca Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti, opera di Francesco de Bourcard, del 1853. In particolare, nel capitolo intitolato  “Il pizzajuolo”, scritto dal filologo Emmanuele Rocco, si fa riferimento ai tre elementi: mozzarella, pomodoro e basilico, ma separatamente, non sulla stessa pizza. In realtà, durante le mie ricerche su questo argomento ho trovato una prova, è contenuta in un giornale napoletano dell’epoca Il Tuono, datato 4 agosto 1860, e precisamente in un articolo intitolato “Cose dimenticate” si legge:
<<Si va a mezzanotte a cenare sol per riunirsi due o tre amici e parlar di politica all’ombra di una pizza tricolorata con la mozzarella, il pomidoro ed il basilico>>
Allora, adesso è tutto un po’ più chiaro.IMG_20210511_184315

© Gianna Caiazzo (riproduzione riservata)

LE CASCETTELLE DEI MORTI

Tratto da  Halloween partenopeo del 29.10.2007

di Gianna Caiazzo

cascettelle dei mortiUna volta, i bambini napoletani, nel periodo dei Morti, si divertivano ad andare in giro per i vicoli portando ” ‘a cascettella”, una piccola scatola di cartone, con una fessura alla sommità, che avevano essi stessi diligentemente costruito. Sulla scatola avevano disegnato un teschio a mo’ di quello dei pirati o di “chi tocca i fili muore”. Vi avevano inserito dentro una monetina, l’obolo di partenza ricevuto, di solito, dai genitori. Così, agitando la scatoletta e facendo sbatacchiare la monetina al suo interno, scorrazzavano a gruppetti e, ridendo e urlando, fermavano i passanti al cui indirizzo intonavano una cantilena, tramandata loro dai nonni, che mi sembra incredibilmente analoga al sintetico ed angloassone “trick or treat”, a noi più noto come “dolcetto o scherzetto”.

SIGNURÌ ‘E MUORTE!
SOTT ‘Â PÉTTOLA* CHE NCE PUORTE?
E NCE PUORTE ‘E CUNFETTIÉLLE…
SIGNURÌ ‘E MURTICIÉLLE!

Molti, intimiditi dall’esuberanza dei bambini che saltavano loro intorno, o temendo di essere scherniti davanti agli altri, o soltanto per simpatia e divertimento, contribuivano inserendo qualche spicciolo (non più gli antichi cunfettielli) nella preziosa urna. E il contenuto, via via, tra la gioia dei piccoli, tintinnava sempre di più.

*Falda della camicia

ascolta la filastrocca

© Tratto da Halloween partenopeo
di Gianna Caiazzo

Gay-Odin: una dolce storia.

A fine ‘800, arrivò a Napoli il cioccolatiere piemontese di origine svizzera Isidoro Odin e qui aprì un laboratorio-bottega in via Chiaia. Isidoro produceva una scelta di cioccolatini così originale e varia che lo portò in breve tempo ad essere famoso. Al primo negozio si aggiunsero così altri due in via Toledo e poi, nel 1922, una fabbrica in via Vetriera. In seguito al matrimonio di Isidoro con Onorina Gay nascerà il marchio “Gay-Odin”. Isidoro, non avendo avuto figli, trasferirà tutti i segreti del mestiere a Giulio Castaldi il quale, a sua volta, trasferirà la fabbrica alla famiglia Maglietta che ancora oggi continua con successo l’attività . Gay-Odin, dal 1993, è stato dichiarato monumento nazionale. Una delle sue specialità più famose è la cioccolata “ foresta”, rami di cioccolato che si intrecciano.

GAY ODIN, napoli


Ria Rosa: una Femmena napoletana.

di Gianna Caiazzo.

Quanto si può rimanere affascinati, divertiti, incuriositi, ammirati da un personaggio incontrato per caso, tra le maglie di questa rete che spesso ci svela tesori dimenticati o mai conosciuti? Ve lo rivelerà forse l’entusiasmo che traspare da questo post.

Sentirecantare parole come: la donna d’oggi, è inutile negarlo, non è più la vile ancella, abolisce in pieno la gonnella, e ‘sta gonnella ‘a metto ‘ncuollo a te sarebbe quasi una sorpresa, unicamente perchè in tempo di veline e meteorine la ‘gonnella’ sembrerebbe, per certi versi, rivalutata piuttosto che avversata. La sorpresa, invece, sta nel fatto che non si tratta di versi contemporanei né di slogan sessantottini ma di una canzone degli inizi del secolo scorso, degli anni Venti del Novecento.
A cantarla era una ironica, eccentrica, starordinaria artista napoletana: Ria Rosa.
Maria Rosaria Liberti (in arte Ria Rosa) era nata nel 1899 a Napoli, nel quartiere Montecalvario.
Cominciò la sua carriera artistica a soli sedici anni come sciantosa nella Sala Umberto, prestigioso Cafè Chantant partenopeo, per poi sbarcare 
oltreoceano nel 1922, a Newyork, dove si stabilì. Qui le sue esibizioni furono molto apprezzate e qui la diva suscitò grande scalpore cantando canzoni come Guapparia e ‘O zappatore, travestita da uomo. Ma non solo. Rosa ebbe il coraggio di sfidare le autorità americane esprimendo, con il brano Mamma sfurtunata (primo titolo ‘A seggia elettrica), parole di denuncia riguardo all’errore giudiziario che portò alla condanna a morte di Sacco e Vanzetti. Per questo subì minacce e rischiò l’espulsione dagli Stati Uniti dove, invece, visse è morì nel 1988. Ecco chi era Ria Rosa. Una donna moderna, coraggiosa; una femminista quasi mezzo secolo prima del femminismo. 
Una voce pungente, un tono sferzante, una donna forte e volitiva. Una Femmena napoletana.

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Ria Rosa

SEI DI NAPOLI ? MANDAMI UNA “VONGOLA”!

Ciao!

Sei di Napoli? Hai amici napoletani? Ti spiego:

Questo blog è inserito nel sito  vongolen@pulitane  dove puoi trovare un po’ di tutto sull’arte, il dialetto e la cultura napoletana vista nel quotidiano. Nel sito troverai, tra l’altro, divertenti strafalcioni sentiti in giro per Napoli (qui vengono definite “vongole”).Vuoi aiutarmi ad incrementare la raccolta? Inviami a commento di questo post gli strafalcioni in dialetto napoletano che anche tu hai sentito in giro e se ti fa piacere, specifica il tuo nome, la città e, brevemente, chi è l’autore della “vongola”(ovviamente non il nome e cognome) e la circostanza in cui è stata “cacciata”. Le migliori “vongole” verranno inserite in una apposita sezione nella pagina le vostre vongole

Ci proviamo?

Grazie a tutti.

 

ACQUA ‘E MUMMARA.

di Gianna Caiazzo

 

È stato sicuramente prima del 2000, anno in cui fu ufficialmente aperta (e presto richiusa) ai cittadini la  fonte di Via Riccardo Filangieri Candida Gonzaga che ho potuto assaggiare la famosa acqua sulfurea o ferrata detta dai napoletani acqua “zurfegna” o “suffregna”che sgorgava proprio da un’apertura nella parete sul  perimetro del Palazzo Reale di Napoli. La fonte era protetta da una grata ma con le maglie abbastanza larghe da poterci infilare un’asticella a cui  era stato legato un bicchiere di plastica. Finalmente la mia curiosità sull’acqua di mmummara stava per essere soddisfatta.

Attesi qualche scondo prima di poterla bere, giusto il tempo di vedere depositarsi sul fondo dei granuli rossastri ,credo si trattasse del ferro. L’odore di zolfo non era davvero eccessivo, il sapore non sgradevole ma trovai che la consistenza dell’acqua fosse un po’ pesante, personalmente sentii che non sarei riuscita a berne grandi quantità. Eppure questa, una volta, era l’acqua del popolo e fino agli anni ’50 era venduta per le strade o dagli acquafrescai che la usavano per ‘allungare’ aranciate o limonate.

Era attinta liberamente alla fonte del Chiatamone, una strada ai piedi del monte Echia (da qui anche il nome di acqua del Chiatamone) e raccolta nelle mmummare, orci di terracotta a doppia ansa. Veniva venduta al dettaglio nelle mmummarelle, più piccole, da cui normalmente la si beveva e che venivano poi  restituite e riutilizzate, credo contro ogni principio di igiene.

Nel ’73, in seguito al colera, la fonte del Chiatamone fu chiusa perchè ritenuta infetta, così scomparve l’acqua, le mmummare e con esse una caratteristica di Napoli.

Una caratteristica cosi’ radicata che qui e ed in nessun altro luogo in Italia, ancora oggi, si definisce ‘faccia ‘e mmummara’ un volto molto paffuto con zigomi sporgenti, di quelli detti ‘a palloncino’.

Infine, sembra che in alcuni casi le mmummare siano state utilzzate sinanche come camera d’aria nella costruzione o forse nel rifacimento della pavimentazione di edifici antichi, come può dedursi dal loro ritrovamento in loco durante dei lavori.

Ma voi, avete mai visto una vera mmummara?

mummara

 

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TAKE AWAY NAPOLETANO.

di Gianna Caiazzo.

Nel TG di qualche giorno fa si decantavano le delizie take away, i cibi di strada di varie città  italiane: Non si puo’ passare per Firenze senza assaggiare il famoso lampredotto (trippa in brodo), se vai in Puglia non puoi non deliziarti con le “esplosive” bombette (spiedini di bocconcini di salsiccia piccante), a Palermo il panì ca meuza (panino con trippa e frattaglie bollite). E a Napoli? Cosa offre il panorama del “fast food” partenopeo?

Se si vuole visitare la città ed essere certi di non aver tralasciato di provare alcune delle bontà più tipiche consiglio allora di iniziare dalla colazione, ovviamente potete scegliere se suddividere il tutto tra più giorni o fare una ‘full immersion’ da brivido.

Un buon caffè napoletano, di quelli ristretti, con sopra quel velo di soffice schiuma potrà egregiamente accompagnarsi ad una bella sfogliatella, la frivola riccia o la pacata, rassicurante frolla. Se nella tarda mattinata siete in giro per i vicoli brulicanti di vita, pervasi da odori e rumori, non potrete fare a meno di seguire il vostro olfatto fino a quella friggitoria dove vi accaparrerete un caldo cartoccio di zeppole e panzarotti1 che sicuramente i più curiosi arricchiranno con qualche palla di riso 2, qualche melanzana o sciurillo cu ‘a  pastetta3 o ‘nu scagliuozzo ‘e farenella4. A pranzo, inutile dirlo, la signora Pizza, la sensuale, la provocante, la maliarda, vi aspetta ovunque, pronta a sedurvi con il suo profumo, i suoi colori, il suo calore. Toccatela, con le mani, non vi accontentate di un platonico approccio demandato a coltello e forchetta.

Nel pomeriggio, se siete stanchi di aver girato a lungo rinfrancatevi lo spirito, “ripigliatevi” con un bel babbà al rum.

A sera, nei quartieri popolari o anche sul lungomare, potrete trovare i caratteristci motocarretti  che offrono ‘o pero e ‘o musso5 cosparso di solo limone e di una spruzzata di sale che, come in un rituale, fuoriesce da un beneagurante corno bovino, cornucopia di gusto e semplicità.

“Ma pecchè”mi scrive Angela, azzeccandoci la rima “‘o tarallo cu ‘a birra ‘o vulessemo jettà?”

Se vi sembra che questo post vi abbia già appesantito, un goccio di limoncello 6 certo potrà aiutarvi.

1) Semplice pasta cresciuta e fritta e piccole crocchette di patate.

2) Arancini di riso in bianco cacio, uova e pepe.

3) Melanzana o fiore di zucca in pastella.

4) Frittelle di farina gialla e acqua condite poca sugna cacio e pepe

5) Stinco, muso (ma anche trippa ed altre frattaglie) di bue  e maiale.

6) Famoso liquore di infuso di bucce di limone.

 

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HALLOWEEN: USA LA ZUCCA!

ZUCCA HALLOWEEN

USA LA ZUCCA…E MANTIENI ANCHE LE TUE TRADIZIONI.

BUON HALLOWEEN, BUON OGNISSANTI.
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© Gianna Caiazzo (vongolen@pulitane) www.vongolenapulitane.it -Free per uso privato-non rimuovere il logo.